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La MAJOLSISSA e le antiche nozze goriziane

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by Davide Zitter
La MAJOLSISSA e le antiche nozze goriziane

di Rossella Dosso

La majòlsissa era una boccaletta di ceramica dalla quale i Goriziani bevevano, prima che gli avveniristici bicchieri di vetro la confi nassero in soffi tta. Gli esemplari più raffi nati arrivavano dalle manifatture di Pesaro e di Pordenone; il popolo, invece, sorseggiava dai boccali, comprati a buon mercato da un maiolicaro di Salcano, a un tiro di schioppo da Gorizia. Mario Ranieri Cossar, cultore delle antiche costumanze goriziane, ci tramanda una canzone popolare che narra l’uso del tradizionale recipiente: Veso robàt una fantata/La plui biela dal miò borc/Puartèt svelti la majolsissa/cul bon vin e il pan di sorc! Per chi non masticasse il friulano, giova ricordare che chi, provenendo da un luogo esotico, sposava una fantata del posto, si rendeva responsabile di una specie di ratto: la richiesta di una sfilza di boccali di vino e del pane di granturco rappresentava una pretesa di risarcimento, tutto sommato ragionevole. E allora partiamo proprio dalla majolsissa per un romantico (e gaudente) f l a s h b a c k delle antiche nozze goriziane. Le quali avevano una gestazione particolarmente lunga, che cominciava con il corteggiamento e l’ingresso del giovanotto nella casa dell’amata. Una volta che la famiglia della sposa aveva dato il via libera, i consuoceri si accordavano sulla dote, solennizzando con una merenda a base di cappucci acidi con le salsicce e un buon vinello del Collio il programmato matrimonio che – da inveterata consuetudine – si sarebbe tenuto a San Martino o a Carnevale. Nel giovedì precedente le nozze, il corredo, al quale la futura sposa aveva dedicato fi n da ragazza ago, fi lo ed energie, arrivava a casa dello sposo col vigore di due buoi che trainavano un carro, recante – legata al timone – una starnazzante gallina bianca, in segno di purezza. Sopra al carro, una capiente cassapanca conteneva: biancheria, coperte, asciugamani, e due serie di tre camicie, delle quali “una si lava, una si met, e una la si impiccia sul stec” (una si lava, una si mette, e una si appende sullo stecco). Alla vigilia delle nozze arrivava la petenadora per fare i capelli alla sposa che, per non guastare l’architettonica acconciatura, pernottava sulla sedia. Nel giorno fatidico, il corteo nuziale, aperto dagli sposi e seguito da compari, parenti e amici, arrivava a casa del futuro marito, dove i partecipanti inauguravano una giornata strepitosa, anche dal punto di vista gastronomico, consumando una frittura di vitello, degli gnocchi, e del vino a volontà. Dopo la merenda, il corteo con degli gnocchi, e del vino a volontà. Dopo la merenda, il corteo con in testa il mataran (una sorta di intraprendente animatore) puntava verso la casa della sposina, accompagnato da un gruppo di allegri musicanti: di solito due violinisti e un suonatore di mul, caratteristico strumento goriziano, a mezza strada tra il contrabbasso e il violoncello.

Finita la cerimonia, uscendo dalla chiesa, un gruppo di borghigiani fermava il marito con una corda trattenuta ai due lati e, offrendogli una majolsissa piena di vino, gli richiedeva – trattandosi di uno sposo allogeno – il richiamato pagamento in pane e vino a favore degli astanti. La tappa successiva era la casa dello sposo, dove la madre attendeva con in mano due majolsisse ricolme di vino: una per lei e una per la colombina, che entrava ufficialmente nella casa. A quel punto si iniziava un pranzo pantagruelico, preparato da una cuoca esperta, che da una settimana lavorava per rendere indimenticabile la nuziale esperienza gastronomica, alla quale avevano contribuito significativamente un vitello, una decina di tacchini e una frotta di pollame, destinati a satollare la sessantina di commensali che di solito animavano le antiche nozze goriziane. All’alba, ciascuno portava a casa una parte del bendidìo rimasto sulla tavola.

RICETTA TIPICA

Ingredienti: 500 g di cappucci acidi, 50 g di lardo, 30 g di olio d’oliva, uno spicchio d’aglio, sale e pepe quanto basta, una foglia di alloro. Rosolare l’olio d’oliva con il lardo e far soff riggere l’aglio. Aggiungere i cappucci con dell’acqua calda, alloro, sale e pepe, e stufarli almeno per due ore, aggiungendo, se necessario, dell’acqua calda. A metà cottura cuocere le salsicce di maiale assieme ai cappucci garbi.

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da Davide Zitter

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