TERRANO Vino rosso “bandiera” del Carso

di Claudio Fabbro
Correva l’anno 2010 e da allora i gusti e soprattutto le mode, cui i giovani guardano con curiosità, hanno decisamente cambiato le abitudini, in enoteca e al ristorante. È raro infatti vedere, in Friuli, una bottiglia di vino rosso sul tavolo vicino, puntualmente protagonista quando ci si ritrova in Toscana dove una bella “fiorentina” pretende sempre un grande Chianti oppure in Piemonte, dove Barolo e Barbaresco viaggiano in buona armonia con il Moscato d’Asti. Nel Triveneto, e non solo, il Pinot grigio e le bollicine di Prosecco o Ribolla hanno messo in castigo Merlot, Cabernet e Refosco e rossi autoctoni con una storia alle spalle che non guasta ricordare. Ad esempio il Terrano o Teràn, che non viene proposto nelle nostre enoteche o ristoranti e che per goderselo devi andare a stanarlo direttamente dal produttore. Poiché i quantitativi prodotti sono limitati non guasta avere, quando si va nell’altopiano carsico un calendario delle Osmize, cioè l’azienda che li propone in casa per un periodo, alternandosi alle altre del territorio. Vuoi perché gli agricoltori del Carso preferiscono fare piuttosto che parlare, quanto di buono essi propongono spesso sfugge al consumatore che va di fretta. Resta sempre senza parole l’enoturista cui piace godersi con calma quanto i coraggiosi vignaioli del Carso goriziano, da Savogna, Sagrado e Doberdò a quello triestino, da Duino, Sgonico, San Dorligo e frazioni, dopo aver affrontato con coraggio l’avventura sfidando i ripidi pàstini o terrazzamenti, hanno saputo creare in profondità, nel cuore della pietra, a decine di metri, dove il Terrano si affina al meglio prima di passare alla bottiglia e offrire al territorio intero un ritorno d’immagine meritevole d’essere portato ad esempio.
DAL REFOSCO D’ISTRIA AL TERRANO
Il Refosco d’Istria o Refosco del Carso – scrive Guido Poggi nell’Atlante ampelografico, 1939 – è diffuso nei territori delle province di Gorizia e Trieste ed il vino che se ne produce e che prende il nome di “Terrano” è tuttora ricercato e apprezzato. Certamente nei secoli scorsi il vino era assai quotato; nel 1689, ad esempio, il Valvasor in una pubblicazione fatta a Lubiana dal titolo Die Ehre des Herzogthums Krain esalta i vini del Goriziano e in specie il Terrano, assai ricercato nei Paesi tedeschi. Nella Storia della Vite e del Vino il prof. Dalmasso accenna a cronisti e poeti tedeschi che parlando della terra triestina, ne decantarono il Rainfal (Ribolla), il Terant (Terrano) e la Malvasia. In una pubblicazione edita a Gorizia nel 1910 a cura di M. Ritter e dal titolo Der Karster Terrano, (Terrano del Carso), l’Autore esalta le virtù del vino con una poesia. Egli descrive il vino come denso, pieno, forte, profumato come un fiore, duro come l’acciaio, di gran classe, fresco, frizzante, fortemente colorato, con riflessi rosso rubino, e che si distingue per il suo profumo caratteristico che ricorda quello del fiore di fragola. È, quindi, un vero inno al “Terrano”.
FORSE ERA IL PUCINUM?
“Indubbiamente – conferma Piero Pittaro in L’Uva e il Vino, 1982 – è un Refosco, quantomeno uno stretto parente di questa numerosissima famiglia. Taluno pensò che Terrano e Pùcino fossero la stessa cosa. Altri sostengono che il Pùcino è il vino bianco, noto ai tempi dei Romani, derivato dal Prosecco. Il dilemma non è mai stato risolto”. Scrive Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) in Naturalis Historia che Giulia Augusta, cioè l’Imperatrice Livia Drusilla, giunse all’età di 82 anni bevendo soltanto il Pùcino «il quale prospera nell’ansa dell’Adriatico, non molto distante dalle fonti del Timavo, su un colle accarezzato dal mare e che dà di sè poche anfore». Nè lei indicava ad alcuno medicamento migliore. È da credersi che questo vino sia quello che i Greci celebravano con molte lodi col nome di Pictanon, che dicevano provenire dai limiti estremi dell’Adriatico. Sul Carso si trovano le prime tracce di questo vitigno e sul Carso ci sono ancora i vigneti rimasti. A trovare il paese di origine hanno provato illustri ampelografi. A noi basti la certezza che il Terrano è certamente e solamente carsico. Colore rosso intensissimo, poco alcoolico, di corpo, fragrante, vinosissimo, con una personalità prorompente. Acidulo e tannico, ma incomprensibilmente armonico. Profumo ampio, di lampone e mirtillo, o talvolta ribes nero. Un vino di tal struttura sembrerebbe ideale per lunghi anni in fusto di rovere. “Invece no – concludeva Pittaro – dopo qualche anno, salvo rare eccezioni, perde la potenza erculea giovanile per diventare flaccido e amorfo. È un fiore da cogliere quando sboccia. È vino da piatti rustici della cucina carsica (spalletta, prosciutto cotto nel pane con kren ecc.) e va servito piuttosto fresco”.
IL TERRANO, A PARE MIO
L’enoturista che frequenta l’altopiano carsico triestino o goriziano (ma anche il Kras sloveno) quando vede postare la frasca d’alloro o edera al portone dell’azienda capisce che è arrivato il momento dell’Osmiza, cioè degustazione (abbinata ai sapori contadini a km 0) per un periodo limitato di quel Terrano -Teràn che ai primi tepori primaverili ha ceduto un po’ di acido malico a favore di quello lattico (fermentazione malolattica) acquistando in morbidezza, con lievi note di anidride carbonica che ne stimolano gradimento e bevibilità in abbinamento ad una sana norcineria artigianale e tradizionale.